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Amore d’Isola: l’entroterra sardo e il suo fascino misterioso

X-Cape e Scrambler, le due Moto Morini sono perfette per l’itinerario

L’entroterra sardo ed il suo incantevole fascino

Testo: Roberto Polleri; Foto: Matteo Cantatore

Il castello di Cagliari si fa a poco a poco piccolo nei retrovisori. Insieme a esso anche il mare inizia a scomparire alle nostre spalle, mentre le due bicilindriche salgono tranquillamente lungo l’arteria più importante della Sardegna, la nota SS 131 Carlo Felice in direzione nord. Le Moto Morini sembrano sentire il nostro desiderio di raggiungere la prima meta, un paese piccolo ma ricco di storia e cultura. Meno di trenta chilometri ed eccoci a San Sperate, luogo reso famoso in tutto il mondo grazie ad uno dei suoi cittadini più illustri: lo scultore Pinuccio Sciola.

Arte a San Sperate

Sistemiamo la X-Cape e la Scrambler accanto ad un grande masso illuminato da un bel sole caldo, proprio all’ingresso del “Giardino Sonoro”, il museo a cielo aperto realizzato dall’Artista scomparso nel 2016. Scendiamo dalla sella ed incontriamo Maria, figlia dello scultore, che ci accompagna nella visita guidata. Bastano pochi passi per diventare prede del fascino delle opere di Sciola, pietre scolpite con varie tecniche che, sfiorate dalle mani e carezzate con altri sassi producono suoni incantevoli e suggestivi. Una musica arcaica, che pare arrivare dalle profondità dell’universo, nata da galassie sconosciute e che porta con sé la magia dell’ignoto che si fonde con la consistenza grezza della roccia.

Un’esperienza fantastica, che si vorrebbe non terminasse mai. È incredibile perdersi tra le opere e “suonare” direttamente le pietre vivendo personalmente il rapporto con esse e la musica che sprigionano. Assieme a Maria ricordiamo con affetto il primo incontro avvenuto anni prima con il padre e gli indimenticabili aneddoti, dalla nostra visita datata 2014. Sul filo della memoria ci salutiamo poi per ripartire a piedi in direzione del centro abitato.

Qui incontriamo una delle guide turistiche che lavorano a San Sperate e percorriamo un interessante tragitto alla scoperta di altre opere artistiche di autori che, sollecitati da Sciola, hanno reso il piccolo borgo una vera e propria esposizione di murales e installazioni di vario genere. Queste narrano il percorso artistico del luogo, sempre alla ricerca sia del bello che di un messaggio importante che colpisca il visitatore. Ci aggiriamo tra le vie del paese, seguendo con attenzione le parole della nostra guida che, non solo preparata ma anche appassionata del luogo che descrive e nel quale vive, ci trasmette un vero e proprio amore per questa terra.

Alla volta dei nuraghe

Dopo la passeggiata culturale tra le strade di San Sperate, risaliamo in sella, premiamo il pulsante di avviamento e i due bicilindrici cantano ancora, pronti a portarci ancora più a nord: Barumini, il sito nuragico più importante e conosciuto dell’isola ci attende. Una cinquantina di chilometri ci separano dalla meta successiva, mentre percorriamo con leggerezza la statale osservando il panorama tutto attorno, sotto ad un cielo azzurro perfettamente limpido.

La strada taglia la pianura, in lontananza si vedono le colline che movimentano l’orizzonte, le due moto salgono allegre lungo il nastro d’asfalto. Si sale e si scende dolcemente fino ad arrivare a scorgere la maestosità del più grande nuraghe della Sardegna. Barumini ci accoglie con un carico enorme di storia e di mistero che subito trasmette la voglia di visitarlo e di cercare di capire i suoi segreti, sicuri di non riuscirvi però… Stampella laterale aperta, giacche e caschi sistemati nella reception e si parte per la visita guidata.

Ci incamminiamo con un gruppo di visitatori curiosi che ascolta con attenzione le parole della guida. La vastità del luogo incute un po’ di timore. Ci sentiamo piccoli davanti a queste enormi pietre immobili, testimonianze mute delle vicende che hanno interessato la Sardegna e che continuano dopo millenni a ribadire il loro austero segreto. L’area archeologica denominata “Su Nuraxi”, oggi patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO è stata portata alla luce negli anni Cinquanta grazie all’opera dell’archeologo Giovani Lilliu, che ha rivelato un nuraghe molto complesso ed un villaggio di capanne circostanti, sito davvero unico nel suo genere. Ci muoviamo lungo il percorso e scopriamo angolo dopo angolo, una particolarità, un aspetto inimmaginato ed una caratteristica che sicuramente colpiscono il turista curioso di scoprire e di conoscere.

Il viaggio continua

Il tempo di porre ancora una domanda alla nostra preparatissima accompagnatrice ed ecco che stiamo già rimettendo i caschi in testa, pronti a dare vita ai due bicilindrici. Scrambler e X-Cape ripartono in direzione della prossima destinazione, che ci porterà nel cuore della natura sarda: si parte per la Giara di Gesturi. Imbocchiamo quindi la SP5 verso Tuili, una bella strada molto tortuosa che le due Moto Morini percorrono con agilità e in meno di trenta chilometri guadagniamo quota ed arriviamo all’ingresso del parco.

Anche qui abbiamo appuntamento con la guida naturalistica che ci conduce per una passeggiata di circa due ore a scoprire le caratteristiche di questo luogo incantevole. Siamo sulla sommità di un altopiano basaltico, posto a circa cinquecentocinquanta metri sul livello del mare, ampio oltre quattromila e quattrocento ettari, famoso per essere abitato dai cavallini della Giara, una razza endemica sarda che vive allo stato brado. Non solo cavalli però, nella giara si incontrano anche molteplici specie animali come bovini rinselvatichiti, cinghiali, volpi e moltissime altre nonché un’avifauna del tutto particolare che popola questo ampio spazio ricco di ben oltre trecentocinquanta specie vegetali.

Questo altipiano è stato per anni zona di pascolo, infatti le greggi venivano portate in altura per brucare le erbe migliori e, ancora oggi, sono visitabili gli antichi insediamenti in pietra, dove i pastori trascorrevano gran parte della stagione. La passeggiata si svolge tutta in pianura, su sentieri molto semplici e facilmente percorribili anche da chi, come noi, indossa stivali da moto moto, tanto che per visitare quanto suggerito dalla guida le due ore di cammino non ci affaticano. Ovviamente la parte più suggestiva è l’incontro con una famigliola di cavallini che, incurante della nostra presenza, continua a mangiare indisturbata, lanciando di tanto in tanto uno sguardo al nostro gruppo che non appare assolutamente minaccioso, ma che è semplicemente alla ricerca di uno scatto da conservare nella memoria, sia quella umana che quella digitale.

Al termine del giro ci concediamo un bel tagliere di prodotti tipici sotto la veranda della reception e, in compagnia dei nostri compagni di viaggio, facciamo qualche considerazione sul percorso appena fatto. La bellezza di ogni viaggio è proprio quella di ritrovarsi a tavola con perfetti sconosciuti, con i quali si scambiano non solo le portate che arrivano, ma anche le idee su itinerari passati o futuri, un’interazione autentica con qualcuno che si incontra solo in quel momento della vita e ogni volta tutto ciò rappresenta un arricchimento. Sorseggiato il caffè, salutiamo i nostri ospiti e riprendiamo il cammino.

La direzione è ancora verso nord e il cielo terso della Sardegna è il migliore compagno di viaggio in questo momento. Gli scarichi suonano ancora nel silenzio della giara ed ecco ingranata la prima e poi tutte le altre, si scende a valle, direzione Fordongianus, dove un momento di storia ma anche di relax ci attende.

Storia e relax

Strade secondarie immerse nel verde ci conducono verso un luogo magico di epoca romana: ecco Fordongianus. All’epoca era denominata Forum Traiani, principale città romana dell’entroterra isolano, fondata nella tarda Repubblica ed in seguito grazie all’imperatore Traiano, trasformata in sede di mercato tra le comunità dell’interno e le popolazioni romanizzate della zona di Oristano. Qui troviamo resti importanti dell’epoca, tra cui le notissime terme dove, ancora oggi acque salse e termoattive, sgorgano a 56 gradi centigradi tutto l’anno. In riva al fiume Tirso dove queste terminano il loro corso, sono state realizzate con alcuni massi delle vasche naturali dove fare abluzioni.

Per chi desiderasse invece un trattamento strutturato, accanto ai resti romani esiste oggi un complesso termale moderno che offre trattamenti di vario genere. Noi, per rilassare le membra dopo il percorso in sella, abbiamo optato per l’immersione in una di queste vasche con acqua corrente calda che, unita ad una musica d’atmosfera, ci ha fatto raggiungere un altissimo livello di rilassamento e rigenerazione. Prima di concederci un trattamento benessere, oltre alla visita guidata delle terme, abbiamo visitato la chiesa di San Lussorio, poco fuori il centro abitato, chiesa campestre di epoca romanica che svetta da una collinetta, con il rosso della sua trachite, offre uno splendido contrasto con il verde circostante dei prati e l’azzurro del cielo.

Attorno alla chiesa troviamo le caratteristiche cumbessias, piccoli alloggi destinati ad ospitare i pellegrini in occasione delle celebrazioni. Il nostro viaggio nel tempo termina quindi alla casa aragonese, un edifico databile tra la fine del millecinquecento e gli inizi del milleseicento, esempio di tipologia abitativa tipica del centro Sardegna, in stile gotico-catalano. Si chiude quindi il capitolo dedicato alla storia antica ed al benessere ed eccoci pronti a ripartire verso una destinazione che ci rivelerà un altro aspetto originale dell’isola mediterranea.

Nuovo giorno nuovi chilometri

Le due moto italiane ci portano in direzione nord est, verso Mamoiada, città celebrata dai “Tazenda” nell’omonima canzone che la descrive come -bella, amica e sposa-, lei ci svelerà alcune tradizioni uniche tipiche di queste zone. Cultura e sapore si fondono nella cittadina della Barbagia di Olollai, lasciando incantati alla vista ed affascinati dalla spiegazione dei nostri interlocutori. Si inizia con il Museo delle Maschere del Mediterraneo che parte dai notissimi Mamuthones ed Issohadores (vedi box) tipici del carnevale mamoiadino, ormai entrati nell’immaginario collettivo, per arrivare poi ad altre nazioni europee che vedono la stessa tradizione declinata in maniere differenti ma sostanzialmente simili nei contenuti simbolici.

Al termine del percorso legato alle maschere, la nostra guida locale ci porta a visitare un monumento estremamente particolare. All’interno di una casa privata, visitabile liberamente (sempre che i proprietari siano in casa…), si trova una grande pietra scolpita, ovvero “Sa perda pintà”, in termine tecnico la Stele di Boeli, un menhir alto oltre due metri e mezzo, risalente al 3500 a.C., unico esempio in Europa. La roccia è decorata con incisioni a cerchi concentrici e coppelle di varie dimensioni, simboli legati al culto della fertilità o al ciclo di morte e rinascita tipico dell’epoca neolitica. Sfiorare le incisioni misteriose e pensare a quanti secoli siano passati su questa roccia fa sempre effetto e questa longevità sbriciola il concetto stesso di tempo, rendendo noi piccoli visitatori in sella ad una moto, minuscole tracce di un divenire eterno.

Oltre le riflessioni filosofiche, ecco invece che qualcosa di molto tangibile ci viene proposto come assaggio: una volta sistemati i mezzi e terminata la guida, possiamo andare verso la cantina di Francesco Cadinu, nel centro del paese, pronti a degustare i suoi prodotti unici e pluripremiati nelle manifestazioni enologiche di tutto il mondo. Dai bianchi e i rosati si arriva poi al classico cannonau, tutti lavorati con cura e sempre seguendo la tradizione, i vini di Cadinu sono apprezzati sulle più importanti tavole internazionali.

Le parole del titolare richiamano di continuo il legame con questa terra e l’antica storia familiare che è ancorata a Mamoiada. Una gradevole conversazione di storia, di tradizioni antiche e di un amore smisurato per queste zone, che ripagano chi le lavora, restituendo prodotti unici dal sapore autentico. Nella penombra della cantina, il tempo passa in fretta senza quasi che ci si renda conto, si fa sera e, domani ci sarà un altro percorso da fare.

Murales e banditi

Di buon mattino ci mettiamo in marcia. Pochi chilometri ci separano da una delle località più note dell’isola: Orgosolo. Cittadina famosa soprattutto per i suoi murales, ma anche patria del canto a tenore, in passato è stata resa tristemente famosa per il fenomeno del banditismo, raccontato dalla pellicola di Vittorio De Seta dal titolo appunto “Banditi ad Orgosolo” del 1961.

Oggi questo fenomeno è fortunatamente superato e la cittadina a pochi passi da Nuoro si identifica soprattutto nei suoi murales. Iniziati nel lontano 1975 da Francesco Del Casino, toscano trapiantato in Barbagia per insegnare storia dell’arte, avvia con alcuni dei suoi studenti, la decorazione dei muri della cittadina. Oggi i murales sono oltre centocinquanta ed affrontano temi sociali, politici e legati alla Sardegna con i suoi valori e le sue peculiarità. Grazie a una interessante visita guidata, si possono osservare i più significativi per comprendere lo sviluppo storico delle opere e i forti messaggi che ogni dipinto propone.

Chilometri di montagna

Conclusa la visita si risale in sella, casco indossato e guanti pure ed ecco che ci attendono sessanta chilometri di strada di vera montagna. Imbocchiamo la SP7 a Fonni, località sita a ben mille metri di quota nonché il paese più alto della Sardegna “che sfida vento e fulmini”, come scriveva Grazia Deledda, valico che ci condurrà attraverso una moltitudine infinita di curve verso sud, oltre Desulo in direzione di Aritzo, nella Barbagia di Belvì. Un percorso incantevole che attraversa una natura incontaminata, dove la presenza dell’uomo è rada e l’asfalto sembra disegnato apposta per essere percorso in sella ad una due ruote a motore. Senza fretta, i due bicilindrici di Trivolzio cantano con serenità lungo le inclinazioni del percorso.

A poco a poco, ecco materializzarsi la nostra meta: siamo arrivati ad Aritzo. Qui ci attende una visita articolata, che tocca diversi aspetti della vita del borgo. Sistemiamo allora le nostre moto e ci dirigiamo a piedi, accompagnati dalle guide locali a scoprire i luoghi più significativi della cittadina. Iniziamo da Casa Devilla, dimora signorile di impianto spagnolo risalente al Seicento, con cortile che propone il selciato originale e porticato a sesto ribassato che nasconde l’antico ballatoio ligneo che correva attorno alla casa. La dimora apparteneva alla famiglia omonima, ovvero gli antichi Signori della neve. Aritzo era infatti famosa per questa industria ed aveva ottenuto dal fisco spagnolo il monopolio della raccolta e, per ben cinque secoli, riforniva di ghiaccio l’intera isola e il Palazzo reale di Cagliari. La neve era conservata in neviere, ovvero grandi fosse in alta montagna, coperte di foglie e di frasche per mantenere bassa la temperatura. 

Ci spostiamo di poco ed eccoci passare sotto ‘la volta’, nota in sardo come sa bovida, ovvero un arco a sesto acuto che porta di fronte a un imponente edificio del XVII secolo, costruito in blocchi di scisto, sabbia e fango: questo è un carcere di massima sicurezza. Nel corso dei secoli la prigione ha preso il nome del celebre arco e ha visto rinchiudere tra le sue mura decine di prigionieri, uomini e donne in condizioni terribili, fino agli anni Quaranta.

Terminata la visita ad un luogo di dolore, ci dedichiamo a rinfrancare l’anima con una bella visione artistica: il museo delle tele del pittore locale Antonio Mura ci ospita in un ambiente molto moderno e curato che sottolinea la bellezza delle opere dell’artista locale. I temi spaziano dai ritratti alle vedute locali, passando per i temi religiosi a lui molto cari, che delineano la carriera di uno dei pittori più influenti del Novecento sardo. Il nostro cammino si conclude quindi con l’Ecomusoeo della Montagna Sarda: raccoglie le attività più rappresentative della cultura barbaricina dai costumi tradizionali ad una collezione di maschere ferine. Si effettua poi un viaggio nella tradizione agro-silvo-pastorale, con attrezzi del contadino, del boscaiolo e molti altri. Piuttosto caratteristico è il settore interamente dedicato alla produzione della “carapigna”, sorbetto al limone che un tempo veniva confezionato con la neve raccolta sui monti e custodita nelle neviere già citate.

Chiude il percorso la ricostruzione della cucina tradizionale, con il camino a fuoco centrale e arredata con tutti gli attrezzi dell’epoca. Lasciamo il grande e ben organizzato museo di Aritzo e siamo pronti a cambiare zona: a breve risaliremo a bordo delle due moto che ci hanno atteso pazientemente e, inizieremo la discesa verso sud, in direzione della Barbagia di Seulo.

Le ultime esperienze prima dei saluti

Ci attendono una cinquantina di chilometri davvero unici, fatti di curve e controcurve per arrivare in un altro paese che offre qualcosa di speciale. La SP 8 non vede quasi mai tratti rettilinei, si snoda come un serpente tra le pendici dei monti in un continuo cambiare di direzione e di quota. Guidare lungo queste strade offre un piacere davvero sottile, una condotta rilassata che ci porta a godere del mezzo con un occhio sempre attento al panorama circostante. Persi nel piacere del manubrio tra le mani, ecco che ci desta il cartello che segna il nostro arrivo a destinazione: siamo a Sadali.

Questo borgo, posto a circa settecento metri di quota, è definito “il paese nell’acqua”, per le moltissime fonti che sgorgano in tutto l’abitato e per una grande cascata che si trova proprio nel centro dello stesso. Qui si impone una sosta per scoprire meglio le meraviglie di questo luogo. Svestiamo i panni dei motociclisti ed indossiamo metaforicamente quelli degli escursionisti e per avventurarci nel cuore del paese: iniziamo con la cascata di San Valentino, salto d’acqua di circa sette metri accanto alla chiesa omonima. Poco distante, per scoprire dove spariscano le acque che scorrono a Sadali, facciamo un’escursione al grande baratro sotterraneo denominato “Sa Ucca Manna”, ovvero la grande bocca, che si trova proprio sul fondo del paese.

Sempre in tema naturalistico, segnaliamo anche le grotte “Is Janas”, che come vuole la leggenda pare fossero abitate dalle fate, le Janas appunto. Nelle grotte ci troviamo davanti a differenti ambienti tra cui la casa delle fate, il mulino ed il ponte che hanno concrezioni differenti ed anche una varietà di fauna particolare. L’ingresso delle grotte si trova appena fuori l’abitato. Partendo da qui, con un percorso di circa due ore, si può raggiungere tramite sentiero, “Su stampu e su turrunu”, ovvero un grande inghiottitoio naturale molto suggestivo, inserito in un contesto particolare. Siamo infatti nella zona dei “tacchi”, rocce giurassiche con tipici rilievi molto ripidi che si stagliano nel cielo azzurro dell’isola.

Ritorniamo alle nostre moto, il viaggio in terra sarda volge ormai al termine. Giusto il tempo di salutare l’isola con un piatto di “culurgiones”, la tipica pasta ripiena di queste zone e chiudere con il sapore dolce della “seada” grondante di miele. Lasciamo quindi questa terra unica, fatta di sapori e di storia antica, vissuta dai suoi abitanti con fierezza ed orgoglio e con un amore sconfinato come sono i suoi orizzonti. Si accende la X-Cape. Si accende la Scrambler. Ora si va a casa, ma con la voglia immensa di tornare quanto prima.

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